Il vezzo tutto renziano, sia del premier sia del suo gigliomagico, peraltro allargato a stazzonati ministri ultrasessantenni, di utilizzare il criptico linguaggio di provenienza angloesotica, da bail-in a step-child-adoption, fino a job-act e… play-station, ci permette, anche a noi, di solito un po’ più rustici, di richiamare con qualche neologismo la sua attenzione e della classe dirigente in genere, piuttosto distratta probabilmente perché indaffarata a recuperare una credibilità scaduta oltre ogni immaginazione (gli ultimi sondaggi relegano la fiducia nei partiti intorno al 3%), riguardo a un problema che dovrebbe comunque far riflettere.
Il fenomeno della caccia in Italia – sul quale, appunto, vorremmo che qualcuno dei nostri governanti si soffermasse – offre sicuramente diversi spunti di riflessione, sia dal punto di vista politico e sociale, sia dal punto di vista economico, altrettanto importante e collegato.
Soprattutto oggi, che le note ristrettezze impongono a chi ci governa una revisione della spesa, è peccaminoso buttare a mare risorse come quelle dei cacciatori che presidiano il territorio, lo gestiscono, lo curano amorevolmente, e in alcune aree del paese (Appennino) lo tengono seppur precariamente addirittura in vita. Una realtà misconosciuta, resa gratuitamente, che se fatta valutare da un’economista minimamente accorto metterebbe in evidenza risparmi di tutto rispetto.
C’è poi il comparto delle eccellenze. Fucili da caccia e da tiro, soprattutto, che danno all’Italia una leadership indiscussa a livello mondiale, e qui chiunque può accedere ai dati economici, ma anche il settore della cinofila venatoria, in particolare per i cani da ferma, che c’invidiano in tutta Europa, per la messe infinita di riconoscimenti che i nostri allevatori e dresseur riescono a conquistare.
Ma l’attenzione che vorremmo che i nostri eroi ponessero è sull’attività venatoria in sé e per sé. La caccia, si dice in genere, è un’attività residuale. Tanto residuale, ci permettiamo di far notare con malcelato sarcasmo, che sul patrimonio faunistico di pregio, in particolare gli ungulati, ricchissimo e oggi anche problematico, cominciano a metter gli occhi pure le più varie e diverse categorie economiche. Gli agricoltori, prima di tutto e da molto tempo, ma anche coloro che commerciano in carni di pregio, i dietologi, i ristoratori. E questa è cosa nota, essendo l’argomento tutti i giorni agli onori della cronaca.
Quello invece che non si riesce ancora a percepire, è un gap (un divario) che la stragrande maggioranza degli osservatori ignora. Perché è vero, i dati, quelli ufficiali, ormai vecchi peraltro, registrano un calo costante delle licenze di caccia, che dal 1980, quando l’Istat ci segnalava più di un milione e settecentomila cacciatori attivi, a oggi sono calate ampiamente a meno della metà, a quanto si dice, ma a molti è passato inosservato un altro dato che ci perviene da una ricerca effettuata da Astra ricerche nel 2010 (e confermata nel 2013). E cioè che in Italia i cacciatori sono ancora all’incirca un milione. Il che significa che più di trecentomila non risultano svolgere alcuna attività nel nostro paese. Preferendo quindi – è da presumere – spostarsi “armi e bagagli”, oltre i confini nazionali.
E la ragione – lo rileviamo chiaramente dai dati statistici – è da ricercare nelle vicende di ormai una ventina di anni fa, a cavallo dei primi anni novanta, quando fummo colpiti dalla sciagura referendaria, che ci portò in regalo l’attuale legge 157/92. In quel periodo, nel giro di tre-quattro anni, il popolo dei cacciatori italiani perse un terzo dei propri membri. Scendendo rapidamente da circa un milione e mezzo di unità alle novecentomila licenze circa. Una vera e propria caporetto che ha fatto la fortuna dei paesi dell’est europeo in primo luogo, ma anche di un diffuso eldorado venatorio senza confini, dai paesi scandinavi al Nord e al Sudamerica, fino alle rustiche lande asiatiche; e al continente africano, ovviamente. Segno inconfondibile che la scelta italiana, imposta sull’onda di un mal digerito ecologismo di maniera che oggi mostra tutto il suo terrificante impatto sull’integrità dei nostri patrimoni naturali, fu una scelta scellerata. E continua ad essere tale, purtroppo – ce ne dà testimonianza tutti i giorni la venefica azione del Ministro Galletti, che crede ancora alle balle che gli raccontano certi infiltrati all’Ispra e a Bruxelles – a dispetto di quello che, appunto, oggi è sotto gli occhi di tutti.
Di fronte a questa realtà, ci fosse uno straccio di economista o di personalità politica che s’impegni a fare i conti di quanto in termini di risorse finanziarie abbiamo perso in questi venti anni!! E soprattutto di quanto potremmo recuperare se i nostri governanti affrontassero il problema caccia così come lo affrontano i nostri vicini di casa. Ma anche quelli che tanto vicini non sono. (Ad esempio: reinserire lo storno fra le specie cacciabili, farebbe risparmiare a Roma disagi e centinaia di migliaia di euro).
E per parlare a nuora perché suocera intenda, perché non cominciare – oggi che vanno forte i social tanto cari al nostro premier, che twitta (cinguetta) a ogni battito d’ala di farfalla – perché non cominciare a diffondere in rete cifre che mettano in evidenza l’idiozia tutta italiana di buttare a mare introiti possibili, nuovi impieghi di manodopera, giro di affari trascurato, risparmi, che dalla caccia potremmo trarre e che invece ci vengono sottratti esclusivamente per la nostra miopia?
In Francia (1.100mila cacciatori attivi sul territorio al luglio del 2015), tanto per restare in famiglia, fra cugini, il Premier Hollande (Francois, come lo chiama il nostro giovane Leader) ma anche la Ministra dell’Ambiente (Segolèn Royal), non risparmiano disponibilità per dare sostanza alle richieste (simili alle nostre) dei loro chasseurs. In Gran Bretagna (giro d’affari sei miliardi di sterline), i reali non mancano di farsi fotografare a caccia e in ambienti di caccia e sostenere i cacciatori che sono una vera e propria risorsa per l’economia rurale.
Why, Matteo? Warum? Pourquoi?
N.B. Please, s’il vous plait, savetheunters, sauvelechasseurs (chissà se si dice…), se vuoi una mano, seppur piccola ma probabilmente determinante, per salvare l’Italia!
Dai retta!, Matteo.